Anno: 2017
David Hockney a Ca’ Pesaro
Si avvicina la fine di una bellissima mostra a Ca’ Pesaro, il grandioso palazzo della seconda metà del XVII secolo, sede della Galleria Internazionale d’Arte Moderna.
La mostra di David Hockney, esposta dal 24 giugno al 22 ottobre, è la prima grande mostra italiana dedicata al maestro dell’arte contemporanea ed ha portato per la prima volta nel nostro Paese il suo più recente progetto: 82 ritratti e una natura morta.
David Hockney nasce il 9 luglio del 1937 a Bradford, una cittadina industriale inglese del West Yorkshire, e frequenta il Royal College of Art di Londra dopo la formazione alla Bradford School of Art.
Nel 1960 espone alla storica mostra londinese Young Contemporaries alla Whitechapel Art Gallery, esposizione che segna la nascita della pop art britannica, di cui David diventa uno dei principali esponenti.
Al 1961 risale il suo primo viaggio negli Stati Uniti, a New York, e poi nel 1964 a Los Angeles, città che lo ispirerà con la sua abbagliante luce californiana e di cui diventerà interprete traducendo l’atmosfera della vita americana in opere divenute famosissime.
Il suo lavoro dagli inizi ad oggi vede l’elemento figurativo come assoluto protagonista, dal ritratto al paesaggio, tramite l’uso di tecniche artistiche tradizionali e nuovi media.
David spazia tra disegno a pastello, incisioni, dipinti ad olio, collage fotografici, fino ai disegni su iPad, ritraendo la vita che lo attornia, e lavora anche a svariate scenografie sia in Inghilterra che negli Stati Uniti. Le sue opera lo portano a diventare uno degli artisti più noti e importanti del ventesimo secolo e, da qualche decennio, l’artista britannico più noto.
Segnalo una citazione al suo famoso quadro “Portrait of an Artist (Pool with two figures)” in una delle mie serie Netflix preferite: nello studio di Bojack Horseman, in versione cavallo.
Nella mostra in corso a Ca’ Pesaro vediamo gli 82 ritratti prodotti tra il 2013 e il 2016, che raffigurano galleristi, curatori, artisti e volti celebri di Los Angeles, ma anche familiari e amici.
Ogni ritratto viene eseguito nelle stesse condizioni: il tempo di realizzazione è di tre giorni (o come dice l’artista, “venti ore di esposizione”), con il soggetto seduto su una sedia posta su una pedana con alle spalle uno sfondo neutro a due toni, a riprova che, nel limite di queste leggi rigide di rappresentazione, la grandezza del maestro si misura nella sua capacità di esprimere un’infinita gamma di temperamenti umani.
Fonti
http://www.veneziatoday.it/eventi/location/ca-pesaro/
http://www.veneziatoday.it/eventi/mostra-david-hockney-ca-pesaro.html
http://capesaro.visitmuve.it/it/mostre/mostre-in-corso/david-hockney/2017/03/18600/82-ritratti-e-1-natura-morta/
https://it.wikipedia.org/wiki/David_Hockney
http://www.ilpost.it/2017/07/09/david-hockney/
Vere da pozzo
Venezia è senza dubbio uno spettacolo unico, una sinfonia di tesori, monumenti, palazzi, scorci, storia, poesia e molte altre cose ancora, e a volte si resta abbagliati da tutta questa bellezza che non ci si rende conto che proprio davanti agli occhi ci sono degli spettacoli di architettura, di arte ma anche di ingegneria che passano quasi inosservati. E’ questo il caso delle vere da pozzo, veri e propri gioielli d’arte e soprattutto dell’ingegno tipicamente veneziano che hanno contribuito a rendere così potente la Serenissima.
Può sembrare strano che una città attraversata e circondata da così tanta acqua abbia sempre avuto problemi per l’approvvigionamento idrico.
Marin Sanudo, storico e cronista veneziano, intorno ai primi anni del 1500 scriveva “Venezia è in acqua et non ha acqua” (“Venezia è in acqua ma senza acqua”).
A causa della sua conformazione geologica, le uniche aree dove erano presenti delle ricche vene d’acqua dolce erano i lidi, dove sono stati trovati dei pozzi naturali, formatisi dall’accumularsi dell’acqua piovana filtrata e depurata dalla sabbia.
Il ritrovamento di questi pozzi potrebbe aver influenzato il metodo costruttivo dei pozzi, perché solo a Venezia si usarono strati di sabbia per filtrare e rendere potabile l’acqua piovana.
Già nell’Alto Medioevo i cittadini avviarono la costruzione di cisterne sotterranee, mentre il governo incoraggiava e promuoveva la realizzazione di impianti idrici.
La soluzione ai problemi idrici di una popolazione sempre in crescita alla fine fu trovata grazie alla realizzazione dei “pozzi alla veneziana”.
Queste strutture fungevano sia da cisterna per l’acqua dolce, che veniva portata dai fiumi Brenta e Sile (compito della “Corporazione degli Acquaioli” fondata nel 1386), che per la depurazione dell’acqua piovana.
Una volta individuata la posizione migliore per la costruzione del pozzo si procedeva con l’esecuzione dello scavo, solitamente non più profondo di 5 metri sotto il livello del mare, a volte sopraelevando un intero campo, per raggiungere la profondità necessaria e per evitare che l’acqua salmastra della laguna entrasse nella cisterna in conseguenza all’alzarsi della marea.
Le pareti e il fondo della cisterna sotterranea venivano ricoperte da uno strato di argilla che la rendeva impermeabile ad eventuali infiltrazioni di acqua salmastra dal sottosuolo.
L’argilla veniva poi ricoperta con strati di sabbia pulita, di diversa finezza, che veniva costantemente bagnata, e che aveva i compito di filtrare l’acqua piovana.
L’acqua piovana veniva raccolta all’interno del pozzo attraverso due o quattro tombini in pietra d’Istria, detti “pilelle”, che venivano disposti in maniera simmetrica rispetto alla canna del pozzo.
In certi pozzi il perimetro della cisterna sottostante veniva segnalato in superficie da una cornice in pietra d’Istria tuttora visibile
Al di sotto delle “pilelle” venivano costruite delle strutture in mattoni dalla forma di campane aperte sul fondo, per convogliare più acqua possibile, mentre la pavimentazione soprastante era leggermente sopraelevata attorno ai tombini, per aiutare il defluire dell’acqua grazie alla forza di gravità.
Sul fondo della cisterna, al centro dello scavo, veniva posta una lastra di pietra d’Istria su cui si costruiva la canna del pozzo in mattoni speciali, detti “pozzali”, che consentivano all’acqua piovana filtrata di entrare nella canna.
Nella sommità della canna, solitamente sopraelevata da uno o due gradini, veniva posta la vera da pozzo, l’unica parte della struttura esterna alla pavimentazione.
Solitamente le vere da pozzo erano costruite in pietra d’Istria e calcare veronese, anche se in alcuni casi, nei pozzi più antichi, erano ricavate da grandi capitelli provenienti da costruzioni di epoca romana.
Col tempo e con l’evolversi del gusto architettonico le vere da pozzo sono diventate dei veri e propri elementi ornamentali, con moltissime forme e decorazioni diverse.
La costruzione di un pozzo era sicuramente un lavoro economicamente molto impegnativo, a causa della complessità del procedimento, e la Repubblica incoraggiava le famiglie nobili a donare un pozzo alla città, dando lustro alla casata. Per questo motivo moltissimi pozzi riportano stemmi nobiliari, iscrizioni e bassorilievi relativi alla famiglia che si era fatta carico della costruzione.
L’ubicazione dei pozzi poteva essere molto varia: dal campo al chiuso delle case, in corti private o in chiostri.
La manutenzione era necessaria, affinché il pozzo si mantenesse sempre in ordine e salubre, ed era la Repubblica che si occupava di questo, assicurando un assidua sorveglianza da parte dei fanti dei Provveditori alle Acque.
Dovevano effettuare controlli anche i parroci e i capi contrada, ai quali era affidata la custodia delle chiavi delle cisterne, che venivano aperte due volte al giorno (mattina e sera) al suono della “campana dei pozzi”.
Secondo una statistica redatta dall’Ufficio tecnico comunale del 1 dicembre 1858, a quel tempo erano presenti 6046 pozzi privati, 180 pubblici, oltre a 556 già interrati.
Nel XlX secolo, con la costruzione dell’acquedotto cittadino, l’impiego dei pozzi venne progressivamente abbandonato e i pozzi vennero chiusi alla sommità con coperture in metallo o cemento per motivi di sicurezza.
Ad oggi i pozzi ancora presenti sono 600 e svolgono una funzione puramente estetica, in una città che in passato ha sempre saputo migliorarsi attraverso le difficoltà, grazie all’ingegno e alla buona volontà dei suoi abitanti.
Fonti
A. Penso, I Pozzi, in ArcheoVenezia del 4 dicembre 1995
http://venezia.myblog.it/2016/01/20/le-vere-pozzo-venezia-straordinario-sistema-idrico-ornamento-della-serenissima/
https://it.wikipedia.org/wiki/Pozzo_(Venezia)
https://it.wikipedia.org/wiki/Vera_da_pozzo
http://veredapozzo.com
https://venicewiki.org/wiki/Vere_da_pozzo
La Regata Storica di Venezia e Caterina Cornaro: la forza di una donna
Domenica 3 settembre si svolgerà -come ogni anno la prima domenica di settembre- la Regata Storica di Venezia, che vedrà il suo clou nella bellissima regata dei gondolini, gara affascinante, ricca di tradizione e anche di accese e storiche rivalità.
Prima delle gare ufficiali, ci sarà il bellissimo corteo storico che vuole rievocare un particolare episodio della storia della Serenissima: il trionfale ritorno di Caterina Cornaro da Cipro a Venezia avvenuto nel 1489
Ma chi era Caterina Cornaro, e perché viene celebrata questa ricorrenza? Qual è la sua storia?
La storia di Caterina è di fatto la storia di una donna forte, coraggiosa e molto amata, che intreccia sentimenti e intrighi politici.
Caterina Cornaro (in veneziano il cognome è Corner), apparteneva ad una delle più potenti famiglie veneziane. Nacque il 25 novembre 1454 a Venezia e trascorse la sua infanzia prima nel palazzo di famiglia sul Canal Grande e in seguito in un monastero presso Padova.
A 14 anni sposò per procura Giacomo II di Lusignano, re di Cipro e di Armenia. Il matrimonio era stato proposto dallo zio paterno Andrea Corner, esiliato nell’isola di Cipro dalla Repubblica di Venezia.
Inutile dire che si trattava del classico matrimonio di interessi, che in questo caso erano molteplici: i Corner potevano meglio amministrare i propri possedimenti nell’isola, Venezia poteva estendere la sua influenza su Cipro e consolidare il proprio controllo sul Mediterraneo, e infine Cipro trovava in questo modo un potente alleato nella lotta contro i genovesi che avevano pretese su Famagosta e contro la minaccia turca.
A dire il vero Giacomo II ritardò il suo impegno di matrimonio, perché cercava di avvicinarsi in tutti i modi al Regno di Napoli, da sempre nemico di Venezia; tuttavia le insistenze dei veneziani e soprattutto l’avanzata ottomana lo convinsero a rispettare i patti e nel 1469 concluse un’alleanza con cui Cipro veniva posto sotto la protezione della Repubblica.
Ed è così che nel 1472 Caterina lasciò Venezia a bordo del Bucintoro per giungere nella sua nuova residenza a Nicosia, dove si sposò e venne incoronata regina.
Meno di un anno dopo, in luglio, Giacomo moriva improvvisamente, lasciando Caterina in attesa del loro figlio, Giacomo III che sarebbe nato il mese successivo.
Nel frattempo la regina era stata esclusa dal trono che venne affidato ad un collegio di “commissari”. Fu molto difficile per Caterina riuscire a veder riconosciuto il suo titolo di Regina di Cipro, ma lei resistette e restò fino a quando la flotta veneziana raggiunse l’isola e ristabilì l’ordine.
Dal 28 marzo 1474, la Repubblica di Venezia affiancò a Caterina un provveditore e due consiglieri, allontanando dall’isola alcuni uomini di fiducia della donna
Caterina tuttavia era una donna sola, e la morte prematura del piccolo Giacomo III non fece che aumentare la sua solitudine, tanto che cadde in depressione. Fu così raggiunta dal padre che la aiutò a superare la sua malattia e a migliorare i suoi rapporti con Venezia, ottenendo con il tempo più libertà.
Ci furono due congiure da parte di nobili catalani che tentarono di rovesciare il regno di Caterina, represse dalla Repubblica di Venezia.
Tuttavia, dopo il secondo tentativo, la Serenissima cominciò a fare pressioni perché Caterina tornasse in patria e cedesse il regno a Venezia, in cambio di prerogative reali.
Caterina non accettò, ma dovette infine cedere in seguito all’intercessione del fratello Giorgio Cornaro: il 26 febbraio 1489, vestita di nero, dovette così a malincuore lasciare per sempre l’isola e rientrare in patria, donando l’isola a Venezia.
Il 6 giugno 1489, seduta sul Bucintoro accanto al doge Agostino Barbarigo, Caterina fa il suo ingresso trionfale a Venezia, che accolse la sua “figlia” con grandissimo affetto: fu nominata domina Aceli (signora di Asolo), conservando il titolo e il rango di regina.
Il corteo storico della Regata vuole ricordare proprio questo episodio: l’abbraccio della città a una donna forte e sfortunata, che ha sempre conservato la sua integrità e la sua dignità in modo esemplare.
Durante il regno di Caterina, la corte di Asolo divenne famosa per accogliere artisti e letterati famosi. Tuttavia la sua vita nel castello di Asolo non fu meno tormentata: nel 1509 dovette scappare per ben due volte di fronte all’avanzata delle truppe asburgiche, rifugiandosi a Venezia, la sua città, dove morì nel 1510.
Si dice che la folla che voleva partecipare al funerale fosse talmente numerosa che si dovette costruire un ponte di barche da Rialto a Santa Sofia per permettere un migliore deflusso.
Caterina tuttora riposa nella chiesa di San Salavador, a due passi dal Ponte di Rialto.
La festa del Redentore di Venezia
La festa del Redentore è una festa tradizionale di Venezia che si celebra la terza domenica di luglio ed è sicuramente una delle feste più sentite dai veneziani.
Il sabato che precede la terza domenica di luglio viene aperto un lungo ponte votivo di barche sul Canale della Giudecca che collega l’isola con le Zattere, consentendo così il raggiungimento pedonale della chiesa del Redentore.
La festa del Redentore è l’evento che ricorda la costruzione della Chiesa del Redentore per ordine del Senato veneziano nel 1576 come ex voto per la liberazione della città dalla peste del 1575. La terribile pestilenza provocò la morte di oltre 50.000 persone in soli due anni.
Alla fine della pestilenza, nel luglio del 1577, si decise di festeggiare con decorrenza annuale la liberazione, con allestimento di un ponte votivo.
Questa celebrazione è diventata col tempo una tradizione molto sentita dai veneziani ed è ancora viva -e anzi, gode di ottima salute- dopo quasi cinque secoli.
La festa è famosa (viene chiamata anche “la notte famosissima”) soprattutto per il meraviglioso spettacolo di fuochi d’artificio (“i foghi”) che si tiene nella notte tra il sabato e la domenica sul bacino di San Marco, che per l’occasione è chiuso alla normale navigazione ed accoglie le barche dei molti veneziani che si riversano in bacino per mangiare, bere, ballare e passare una serata in compagnia.
Scala Contarini del Bovolo
Palazzo Contarini del Bovolo è un edificio tardo gotico nel sestiere di San Marco, nelle vicinanze di Campo Manin, che si affaccia sul rio di San Luca.
Il Palazzo, costruito tra il Trecento e il Quattrocento, era la dimora della famiglia Contarini “di San Peternian”.
Nel 1499 Pietro Contarini, Marco Contarini e Giovanni Battista Contarini, senatori della Serenissima Repubblica di Venezia, fecero aggiungere la famosa scala a chiocciola (bovolo significa chiocciola in veneziano) che da quel momento ha dato il nome non solo al palazzo ma a tutta la famiglia, che viene soprannominata Contarini “dal Bovolo”.
La scala rappresenta una perfetta sintesi di diversi stili, con i suoi elementi rinascimentali, la tecnica costruttiva tipica del gotico e la forma veneto-bizantina.
Inizialmente la scala aveva il solo scopo di ornamento della facciata interna del palazzo, per accrescere il prestigio e la popolarità della casata.
All’inizio dell’Ottocento il palazzo fu acquistato dalla ditta Emery, dalla quale fu affittato da Arnoldo Marseille, che vi aprì l’albergo detto “del Maltese” nel 1803, e da cui proviene il nome della corte (corte del Maltese) sulla quale si affaccia i palazzo.
Nel 1859, dal belvedere della torre Wilhem Tempel, litografo tedesco e dilettante in astronomia, scoprì una cometa che porta il suo nome.
L’attuale proprietario ha disposto nel cortiletto retrostante un importante collezione di vere da pozzo, che fanno da cornice alla facciata con la scala a chiocciola più imponente e pregevole di Venezia.
Dalla metà dell’Ottocento fino agli inizi del Novecento la storia del Palazzo si lega con le vicende dell’assistenza a Venezia, fino a quando diventa sede dell’IRE (Istituzione di Ricovero ed Educazione), che amministra le istituzioni di ricovero sparse per la città.
Clicca qui per vedere l’acquerello “Scala Contarini del Bovolo” >
Fonti
https://it.wikipedia.org/wiki/Palazzo_Contarini_del_Bovolo
https://it.wikipedia.org/wiki/Contarini#Contarini_dal_Bovolo
http://www.scalacontarinidelbovolo.com
https://it.wikipedia.org/wiki/Ernst_Wilhelm_Tempel
Vogalonga 2017 – 43esima edizione
Mancano solo tre giorni alla 43esima edizione della Vogalonga qui a Venezia!
La Vogalonga è una regata di imbarcazioni a remi “non competitiva” che si tiene a Venezia nel mese di maggio.
Durante una regata svoltasi l’11 novembre 1974 tra un gruppo di veneziani, sia dilettanti che professionisti, nacque l’idea di istituire una regata dedicata a tutti gli appassionati della voga veneta, per rilanciare quest’antica tradizione e per sostenere una campagna contro il degrado e il moto ondoso nella Laguna di Venezia.
Di questi propositi, si fecero promotori principalmente Lauro Bergamo, all’epoca direttore de Il Gazzettino, oltre a Toni Rosa Salva e Giuseppe Rosa Salva, spesso impegnati in prima persona per la salvaguardia di Venezia.
Il percorso, lungo circa 30 km, fu studiato per toccare dei luoghi significativi e centrali di Venezia, come il Bacino di San Marco ed il Canal Grande, e per raggiungere le zone ad essa limitrofe, tra cui Burano e Murano, per rientrare a Venezia dal Canale di Cannaregio, che immette nel Canal Grande e terminare dinanzi alla Punta della Salute.
La prima Vogalonga si svolse l’8 maggio 1975.
Già da questa prima edizione parteciparono circa 1.500 regatanti.
Con le successive edizioni, la Vogalonga vide gradualmente aumentare consenso e partecipazione, arrivando a superare le gli 8.000 iscritti quest’anno (record assoluto), con regatanti provenienti ormai da tutto il mondo e con ogni genere d’imbarcazione a remi.
Tutti i partecipanti arrivati al traguardo ricevono una medaglia commemorativa ed un certificato di partecipazione.
Grazie a www.vogalonga.com
Festa della Sensa
Domenica prossima qui a Venezia sarà la festa della Sensa, e celebriamo questo giorno molto speciale. Vi dirò un paio di cose su questa tradizione veneziana.
La Festa della Sensa (in italiano “Ascensione”) era una festività della Repubblica di Venezia, che coincideva col giorno dell’ Ascensione di Cristo, l’ultimo capitolo della sua vita terrena quando, dopo 40 giorni dalla sua morte e risurrezione è asceso al cielo con il suo corpo per unirsi al padre.
La Festa della Sensa commemorava due eventi importanti per la Repubblica di Venezia.
Il primo era il 9 maggio dell’anno 1000, quando il doge Pietro ll Oseolo partì per la conquista della Dalmazia minacciata dagli Slavi, dando inizio all’espansione di Venezia nell’Adriatico.
Il secondo evento è collegato al trattato di pace che il doge Sebastiano Ziani, Papa Alessandro lll e l’imperatore Federico Barbarossa stipularono a Venezia nel 1177, ponendo fine alla diariba secolare tra Papato e Impero e collocando la Repubblica di Venezia accanto alle altre due superpotenze di allora: il Sacro Romano Impero e il Papato.
In occasione della Festa della Sensa veniva celebrato lo Sposalizio del Mare, una cerimonia che simboleggiava il dominio marittimo di Venezia e il suo intimo rapporto col mare.
Originariamente si svolgeva una solenne processione di imbarcazioni, guidata dalla nave del doge (dal 1253 il Bucintoro, la galea di stato dei dogi di Venezia) che usciva dalla laguna attraverso la bocca di porto del Lido.
Arrivata alle acque antistanti la chiesa di San Nicolò, patrono dei naviganti, veniva recitata una preghiera che invocava mare calmo e tranquillo per tutti i naviganti. Infine il doge e gli altri officianti venivano aspersi con l’acqua santa, il resto della quale veniva versato in mare.
Ogni anno il doge lasciava cadere un anello consacrato nel mare recitando :“Ti sposiamo, mare. In segno di vero e perpetuo dominio” (“Desponsamus te, mare. In signum veri perpetuique dominii..”) dichiarando Venezia e il mare indissolubilmente uniti, ribadendo il possesso sul mare Adriatico.
Secondo la leggenda su cui si basa il mito di Venezia, nel 1177 papa Alessandro lll avrebbe conferito un carattere di sacralità a questa antica cerimonia.
I riti dell’espiazione dei peccati verso il mare risalgono all’antichità, come quello narrato da Erodoto, dove Policrate, il tiranno di Samo, lancia un prezioso anello in mare per placare gli dei, o quello di Sant’Elena Imperatrice, che lanciò un chiodo della Vera Croce nel Mar Adriatico per rendere favorevoli i venti.
Secondo vari studi archeologici il “matrimonio col mare” dei veneziani e la cerimonia dell’anello deriva da un antico rito pagano che la Chiesa ha fatto proprio successivamente.
Dal 1965 il comune di Venezia, in occasione della festa dell’Ascensione, organizza una rievocazione storia dell’antico sposalizio del mare.
Il sindaco del comune di Venezia presiede la cerimonia a bordo della “bissona” Serenissima, un imbarcazione veneziana a remi di tipo speciale, caratterizzata da ricche decorazioni carattere tematico e spinta da otto vogatori. Dopo aver raggiunto, insieme ad un corteo di imbarcazioni, la bocca di porto verso la chiesa di San Nicolò del Lido, getta l’anello benedetto dal patriarca di Venezia nel mare.
La cerimonia è accompagnata da regate in cui vengono indossati vecchi costumi tradizionali.
Ogni anno il comune di Venezia ripropone questa celebrazione, che fa rivivere la millenaria storia della Serenissima, il suo intimo rapporto con il mare e con la pratica della Voga alla Veneta.
Ponte del Diavolo
Torcello è una delle più antiche isole della laguna veneta, posta a nord di Burano, al centro di una zona di barene (zone pianeggianti di suolo argilloso che vengono ciclicamente sommerse dalle maree e che sono fondamentali per la buona salute della laguna).
Presente sin dai primi secoli dell’Impero Romano anticamente molto prospera e popolata densamente, comincia il suo declino dal XV secolo a causa di cambiamenti climatici e continue pestilenze e conseguente alla predominanza della vicina Venezia.
Uno dei due ponti di Torcello è il Ponte del Diavolo, che scavalca il canale Maggiore, la via d’acqua che collega il centro storico di Torcello alla laguna.
Risale al XV secolo ma recenti indagini archeologiche hanno stabilito che le sue fondazioni si innestano su fondazioni preesistenti, databili al XIII secolo
L’origine del nome non è certa, c’è chi dice che “Diavoli” fosse il soprannome di una famiglia locale e che questo abbia dato nome al ponte, e chi invece lo fa risalire ad una leggenda che vede una ragazza veneziana, una strega e un soldato austriaco.
Nella leggenda la ragazza si innamora del giovane ufficiale durante l’invasione austriaca, ma l’unione non era vista bene dalla famiglia di lei, che la allontana, fino a che non la raggiunge la notizia che il giovane innamorato è stato assassinato.
La ragazza torna a Venezia ed incontra una strega, con la quale stipula un patto con il diavolo: il giovane austriaco in cambio delle anime di sette bambini cristiani morti prematuramente.
Il luogo dello scambio sarebbe stato il Ponte del Diavolo.
Le due donne raggiungono l’isola e la ragazza attraversa il ponte con una candela ed una moneta d’oro mentre la strega invoca il diavolo, che appena vede la ragazza sputa la chiave dello spazio e del tempo in acqua prendendo la moneta d’oro in cambio e facendo apparire il giovane austriaco dall’altra parte del ponte.
La seconda metà del patto doveva essere la consegna delle sette anime, sempre sul Ponte del Diavolo, fissata per il 24 dicembre, ma la strega viene assassinata prima da un giovane che voleva salvare le anime dei bambini.
La leggende narra che da quel 24 dicembre in poi ogni anno il diavolo si presenta sul Ponte del Diavolo per riscuotere il suo pagamento, sotto forma di gatto nero.
La caratteristica principale del Ponte del Diavolo è la sua forma senza parapetto, tipica dei ponti antichi veneziani, ed insieme al Ponte Chiodo a Cannaregio, è l’unico a conservare l’antica forma.