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Ponte del Diavolo

Torcello è una delle più antiche isole della laguna veneta, posta a nord di Burano, al centro di una zona di barene (zone pianeggianti di suolo argilloso che vengono ciclicamente sommerse dalle maree e che sono fondamentali per la buona salute della laguna).

Presente sin dai primi secoli dell’Impero Romano anticamente molto prospera e popolata densamente, comincia il suo declino dal XV secolo a causa di cambiamenti climatici e continue pestilenze e conseguente alla predominanza della vicina Venezia.

Uno dei due ponti di Torcello è il Ponte del Diavolo, che scavalca il canale Maggiore, la via d’acqua che collega il centro storico di Torcello alla laguna.

Risale al XV secolo ma recenti indagini archeologiche hanno stabilito che le sue fondazioni si innestano su fondazioni preesistenti, databili al XIII secolo

L’origine del nome non è certa, c’è chi dice che “Diavoli” fosse il soprannome di una famiglia locale e che questo abbia dato nome al ponte, e chi invece lo fa risalire ad una leggenda che vede una ragazza veneziana, una strega e un soldato austriaco.

Nella leggenda la ragazza si innamora del giovane ufficiale durante l’invasione austriaca, ma l’unione non era vista bene dalla famiglia di lei, che la allontana, fino a che non la raggiunge la notizia che il giovane innamorato è stato assassinato.

La ragazza torna a Venezia ed incontra una strega, con la quale stipula un patto con il diavolo: il giovane austriaco in cambio delle anime di sette bambini cristiani morti prematuramente.

Il luogo dello scambio sarebbe stato il Ponte del Diavolo.

Le due donne raggiungono l’isola e la ragazza attraversa il ponte con una candela ed una moneta d’oro mentre la strega invoca il diavolo, che appena vede la ragazza sputa la chiave dello spazio e del tempo in acqua prendendo la moneta d’oro in cambio e facendo apparire il giovane austriaco dall’altra parte del ponte.

La seconda metà del patto doveva essere la consegna delle sette anime, sempre sul Ponte del Diavolo, fissata per il 24 dicembre, ma la strega viene assassinata prima da un giovane che voleva salvare le anime dei bambini.

La leggende narra che da quel 24 dicembre in poi ogni anno il diavolo si presenta sul Ponte del Diavolo per riscuotere il suo pagamento, sotto forma di gatto nero.

La caratteristica principale del Ponte del Diavolo è la sua forma senza parapetto, tipica dei ponti antichi veneziani, ed insieme al Ponte Chiodo a Cannaregio, è l’unico a conservare l’antica forma.

Ca’ Dario, il palazzo maledetto

Un destino terribile ha unito le storie dei proprietari di questo bellissimo palazzo, tanto da essere definito “maledetto”.

Palazzo Dario (meglio conosciuto come Ca’ Dario) è un palazzo che si affaccia sul Canal Grande a Venezia.

Fu costruito da Giovanni Dario, affascinato dai luoghi e dal paesaggio incantevole.

Nel 1479 Marietta, figlia di Giovanni, si suicidò per il fallimento economico del marito Vincenzo Barbaro, che morì pugnalato. Anche il loro figlio subì una morte violenta, infatti morì in un’imboscata a Creta. Queste tre morti fecero scalpore tra i veneziani, che anagrammarono l’iscrizione sulla facciata, trasformando “VRBIS GENIO IOANNES DARIVS” in “SVB RVINA INSIDIOSA GENERO” (in latino “Genero sotto una rovina insidiosa”).

I discendenti della famiglia Barbaro vendettero la villa ad Arbit Abdoll, un mercante armeno di pietre preziose, che finì in rovina poco dopo aver preso possesso dell’abitazione.

L’inglese Radon Brown andò incontro al suo destino nel 1838, quando divenne il nuovo proprietario di Ca’ Dario. In soli quattro anni subì un tracollo finanziario e venne scoperta la sua relazione omosessuale: lo scandalo lo travolse a tal punto che nel 1842 si suicidò nel palazzo insieme al compagno.

Non fece meglio l’americano Charles Briggs, che dovette fuggire da Venezia a causa delle continue voci sulla sua omosessualità: fuggì in Messico, dove il suo amante si suicidò.

Agli inizi del ‘900 Dario ospitò il poeta francese Henri de Regnier; ma una grave malattia colpì lo scrittore, che non poté più tornare a Venezia.

Per decenni l’edificio rimase vuoto, fino al 1964 quando il tenore Mario del Monaco iniziò le trattative per l’acquisto dell’immobile. Ma l’artista, mentre si recava a Venezia per definire i dettagli del contratto, fu coinvolto in un grave incidente d’auto che lo costrinse ad una lunga riabilitazione e lo spinse a decidere di rinunciare all’acquisto.

Qualche anno dopo Ca’ Dario fu acquistato dal conte torinese Filippo Giordano delle Lanze, ucciso all’interno dell’edificio nel 1970 da un marinaio croato di nome Raul Blasich, con il quale aveva una relazione. Blasich è poi fuggito a Londra, dove fu assassinato.

Il palazzo fu poi acquistato da Kit Lambert, manager del gruppo rock The Who, che morì poco tempo dopo a Londra scendendo le scale. Anche se sosteneva di non credere alla maledizione, Lambert aveva detto ad alcuni amici di dormire nel vicino chiosco dei gondolieri dell’Hotel Gritti per “sfuggire ai fantasmi che lo perseguitarono nel Palazzo“.

Fabrizio Ferrari, un uomo d’affari veneziano, acquistò la casa negli anni ’80 e vi si trasferì con la sorella Nicoletta. Ferrari non è morto, ma ha perso tutti i suoi beni dopo aver preso possesso dell’edificio, mentre la sorella è morta in un incidente d’auto senza testimoni.

Alla fine degli anni ’80 l’edificio fu acquistato dal finanziere Raul Gardini che volle fare un regalo alla figlia. Gardini, dopo una serie di battute d’arresto economiche e il coinvolgimento nello scandalo di Tangentopoli, si suicidò nel 1993 in circostanze mai del tutto chiarite.

Dopo la morte di Gardini, nessuno voleva più comprare Ca’ Dario, e la prima società di brokeraggio che era stata incaricata di vendere l’immobile si arrese e qualsiasi trattativa si arenò. Alla fine degli anni ’90 il regista e attore Woody Allen sembrava disposto ad acquistare l’edificio, ma poi ha rinunciato. Nel 2002, una settimana dopo aver affittato Ca’ Dario per una vacanza a Venezia, il bassista John Entwistle morì a causa di un infarto.

Nel 2006 la proprietà è stata ceduta a un’azienda americana per conto di un acquirente sconosciuto ed è attualmente in fase di ristrutturazione.

 

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Cornici artigianali per stampe artigianali

Qualche tempo fa ho incontrato qui nel mio studio a Venezia Marco Faccio, un ragazzo simpaticissimo e molto gentile di Vicenza che è venuto qui con la moglie Clara. Hanno apprezzato alcuni miei lavori e abbiamo cominciato a parlare molto, e così ho saputo che Marco è un artigiano del legno di grande talento. Dopo che ci siamo salutati, sono andata a visitare il suo sito e ho visto subito che le sue creazioni erano meravigliose!

Marco crea (tutto fatto a mano, naturalmente!) cornici, scatole, (incredibili) towerboxes, astucci… e tutto è meraviglioso!

E sono molto felice che abbia deciso di fare qualcosa per me.

Marco si è ispirato alle mie incisioni e ha fatto uno studio su forme e materiali e quindi ha realizzato queste cornici di rovere africano fatte a mano appositamente per le mie stampe. Le cornici, in legno massello, sono state cerate e sono provviste di un resistente vetro sintetico e sono esemplari unici non riproducibili.

Le cornici e le stampe sono esposte nel mio negozio a Venezia. Marco ha scelto le seguenti stampe per realizzare le sue splendide cornici:

Ho stampato le incisioni in nuovi colori- un colore a metà tra il rosso e il marrone.

Spero che le nuove cornici vi piacciano! (io le adoro)

Ciao,

Arianna

La storia della stampa – parte 2

In Venice, in the fifteenth century, the Republic of Venice is at its peak as territorial expansion, and it is a model and benchmark for the world because of its opening to the religious philosophies, and it is a city ready to welcome all thoughts and trends guaranteeing press freedom.

This is why in that time a large group of “Humanist reformists” comes to Venice, including Aldus Manutius (in 1490), Marco Antonio Sabellico (teacher of rhetoric and author of several works including prayers, writings about  topography and Venetian courts) and Francesco Colonna (Dominican friar of the Venetian monastery of Saints John and Paul).

The “Scuola dei stampatori e dei librai” (School of printers and booksellers) met in the Dominican monastery of Saints John and Paul (the present hospital).

 

On September 18th, 1469, the Senate recognizes that Johann of Speyer (German printer) have introduced and developed the art of printing in Venice, while the “statuto dei Librai e Stampatori” (the statute of the Booksellers and Printers) will be ratified only in 1567.

In 1472 Filippo di Pietro is the first printer properly Venetian (active until 1482).

In 1488 there are almost 200 printing houses in Venice.

One of these is the printing house of Aldus Manutius, not just a typographer but a real publisher (the first in a modern way), who prints 157 titles (even more than a thousand copies with the use of a hand press) between 1495 and 1501.

The environment of his printing house becomes a real literary circle which includes the most outstanding humanists of Italy.

The first studio of the printer is in Calle del Pistor, number 2343, near Campo Sant’Agostin; then he moved onto San Peterniano, near what is now Campo Manin, in 1508.

In 1499 Aldus Manutius publishes the ‘Hypnerotomachia Poliphili’, a novel in prose accompanied by 172 xylographs and attributable to the Dominican Francesco Colonna, who is one of the finest books of Italian Humanism.

In 1502 he founded an academy, the “Neacademia dei filelleni” or Aldina, where it was required to speak in ancient greek; those who did not speak ancient greek had to pay a pecuniary fine.

He wants to preserve the literature and the Greek philosophy to further oblivion, along with the great heritage of Latin literature, disseminating the masterpieces in printed editions.

On November 14th, 1502, Aldus Manutius gets from the Senate the prestigious post of Official Printer of the Republic, thanks to his experience, talent and ability. It is unanimously accepted that his trademark (an anchor and a dolphin) refers to the motto “Festina lente” (more haste, less speed) attributed by Suetonius to Octavian Augustus.

Among the most significant contributions of Aldus Manutius to modern typography there is the final version of punctuation, the invention of italics and the beginning of the paperback editions. He was also the first to publish a catalog of his works and he has edited the first book with the pages numbered on both sides.

At the end of the fifteenth century, many engravers in Germany, Holland and Italy reach highest quality results.

The aquaforte etching (engraving on metal plate through the use of acids) was born as an autonomous technique in the early sixteenth century, although the chance to engrave the metal with acids was known since the end of ‘400.

The famous German artist Albrecht Dürer (who begins as a wood designer for woodcuts) was one of the first to use the new aquaforte etching technique- a technique that has probably learned from the Venetian Luca Pacioli (religious, mathematician and italian economist who attended the famous artists of the time ), during his trip to Italy.

Parmigianino (1508-1540) was the first artist to understand the possibilities of the aquaforte etching, using it as a fast means of expression, full of warmth and vitality.

The spread of the aquaforte etching technique frees the artist from the mediation of the artisan, who used to copy his design on wood or on metal plate, mixing together the figure of the artist and the engraver.

Year after year the techniques already existing are improved and new ones are invented, which provide the artists more and more expressive possibilities, as the technique of aquatint (which allows to create veiled painting on the plate, unlike the etching which allows to create lines), perfected by the French artist Jean-Baptiste Le Prince in 1768.

Among the artists who have used this technique we must remember  Francisco Goya, who shows the enormous pictorial possibilities of the technical means.

In the Italy of ‘700 should be mentioned artists such as Tiepolo, Canaletto and Piranesi for their high quality works standing apart from the myriad of artisans reproducing works by great masters or detailed views.

In the eighteenth century engraving it became almost exclusively a means to reproduce artworks and portraits and it is brought to a form of industrialization, with the birth of companies that use numerous engravers.

The increasingly refined techniques turn the incision to a mechanistic way, without the beginning vitality and autonomy.

In the late nineteenth century, with the birth and the emergence of photography, the etching with utilitarian and reproductive purposes almost disappears.

From the twentieth century, thanks to artists who come to this ancient discipline with creative spirit, the etching has regained the dignity and freedom of speech that was a characteristic of the beginning of its history.

Sources:

https://it.wikipedia.org/wiki/Stampa

https://it.wikipedia.org/wiki/Johannes_Gutenberg

https://it.wikipedia.org/wiki/Libro

https://it.wikipedia.org/wiki/Carta#Europa
“Tecniche dell’incisione” Prof. Feo Marco

https://it.wikipedia.org/wiki/Calcografia
https://it.wikipedia.org/wiki/Aldo_Manuzio
https://it.wikipedia.org/wiki/Niello
http://www.venicethefuture.com/schede/it/323?aliusid=323
https://it.wikipedia.org/wiki/Acquatinta

“Xilografia, Calcografia, Litografia” Bruno Starita

https://it.wikipedia.org/wiki/Luca_Pacioli#Rapporti_con_gli_artisti_rinascimentali
https://it.wikipedia.org/wiki/Marco_Antonio_Sabellico
https://it.wikipedia.org/wiki/Francesco_Colonna_(scrittore)
http://www.treccani.it/enciclopedia/filippo-di-pietro_(Dizionario_Biografico)/
http://www.etimo.it/?term=grafia
https://it.wikipedia.org/wiki/Hypnerotomachia_Poliphili
http://www.treccani.it/enciclopedia/francesco-colonna_(Dizionario_Biografico)/

Storia della stampa – parte 1

The Art of printing was born in China during the Han Dynasty (a print on fabric can be dated 220 AD), although some artifacts have been discovered in Egypt dating from the sixth or seventh century BC.

The first type of printing was made pressing a small wooden carved board carved on fabric or paper, the Xilography (from the greek xilon = wood and graphos = handwriting), where it is eliminated the space that will remain white on the print and the printable portion of the matrix is what remains of the original thickness of the plate.

The oldest printed book is a Chinese translation of the “Diamond Sutra“, a Buddhist work, realized in 848 AD

In a memorial dating back to 1023 it is said that the Chinese government was using copper plates (intaglio) to print banknotes and official documents.

The technique of Xilography, together with Papermaking, is taught by the Chinese to the Arabs when they conquered Samarkand in 712, and spreads across European countries conquered by the Arabs.

In Europe, from the sixteenth century, the Xylography is commonly used to print fabrics, and from 1400 (when the paper becomes easily available) is used to print playing cards, to print religious images and texts of prayers, and for artistic productions.

Some xylographs could be used for a small number of images which were then bound together to form the first books, which were printed in European convents between 1380 and 1430, and included images and texts.

Printing entire books in this way was a long process because each page was made carving a wooden tablet, which often broke for its fragility.

The most ancient book that speaks about woodcuts with a printing purpose “Trattato della Pittura o del Libro dell’Arte” (The book of the Art) by Italian Cennino Cennini in 1437.

In 1041 in China Bi Sheng invented movable type printing using the clay, but it was too fragile. In 1298, still in China, Wang Zhen introduces a more durable type made of wood, while in Korea, in 1234 the mobile characters are created using metal bronze.

In Europe, Johannes Gutenberg invents the text printing using movable metal type made of iron and steel, the strongest materials known at the time. We can not be sure that Gutenberg did not come in contact with this technique thanks to the trade routes with the East, but surely he has perfected it through the invention of the printing press modeled on the winepress of the Rhenish farmers, and through the improvement of the printing ink, oil-based instead of water-based, and therefore longer lasting.

With the spread of movable type, the technique of xylography to print full pages falls into disuse, but a way to combine images xylographic with texts composed with movable type is soon found, loosing yet the previously continuity and interpenetration of the text with the pictures.

The search for the particular in illustrations pushes artists to experiment the metal engraving, Chalcography (from the greek chalcos = copper and graphos = handwriting), where the drawing is traced through the use of the burin digging the plate which is then inked and printed (unlike the xylography, worked in negative, where the print result is given by the digging of the wooden plate of what will result white, in chalcography -worked in positive- the result of printing is given by the signs made on the plate that will be the actual final drawing).

The origins of the chalcography are uncertain: it is expected to be born in Germany around 1430 with the use of the roller press which replaces the vertical one used for the xylography.

The engraver who has made the first known chalcographic prints works in Basel from 1430 to 1445.

Giorgio Vasari attributes to Maso from Finiguerra (1426-1464) the discovery of Chalcography, using the “niello” technique used by jewelers, who used to engrave a metal plate with the burin and then filled the cavity with a special alloy, called “nigellum” obtaining dark images on a metal smooth background. The goldsmith, before filling the grooves with the alloy, used to make a test of the work done by filling the signs of the burin with a mixture made up of lampblack and walnut oil (more or less the copperplate ink still used) and printing the plate on a piece of wet paper.

The Art of printing spreads quickly across Europe.

End of part 1

L’arte della stampa a Venezia

Nel XV° secolo la Repubblica di Venezia raggiunse l’apice della sua espansione.

Nessuno stato europeo avrebbe mai più potuto vantare un futuro così luminoso e un così lungo periodo di continuità.

La “Serenissima” è stata particolarmente aperta a tutte le filosofie religiose, a condizione che nessuna di queste minacciasse la sua sicurezza.

I primi stampatori arrivati a  Venezia erano tedeschi, seguiti da francesi, fiamminghi, olandesi, svizzeri, cretesi oltre che stampatori istriani e molti italiani.

Un folto gruppo di “umanisti riformisti” fuggì a Venezia, e tra questi vi era Aldo Manuzio (https://it.wikipedia.org/wiki/Aldo_Manuzio)

La libertà di stampa era garantita e incoraggiata, soprattutto perché l’espansione della stampa era diventata una buona fonte di reddito nel giro di pochi anni. L’editoria veneziana non solo chiedeva la collaborazione degli stampatori, ma li stimolava anche a sperimentare. Il Senato nel 1537 impose addirittura delle sanzioni severe per gli editori che usavano carta di bassa qualità.

E’ logico quindi supporre che gli autori vedevano Venezia non solo come la città in cui c’era la possibilità di pubblicare i propri lavori, ma anche come il posto in cui c’erano i servizi necessari per ospitarli- oltre alla possibilità ovviamente di discutere e confrontare le proprie esperienze individuali.

Quasi 200 macchine da stampa operavano a Venezia verso la fine del XV° secolo (1488).

L’Arte della stampa è stata riconosciuta ufficialmente a Venezia il 18 settembre 1469- il giorno in cui il Senato riconobbe che Johann von Speyer aveva introdotto e sviluppato l’arte a Venezia.

La “Scuola dei Stampatori e Libreri” si riuniva sempre nel monastero domenicano di Santi Giovanni e Paolo (l’attuale ospedale).

Il clima culturale di cui godevano gli stampatori a Venezia è stato quella di una città pronta ad accogliere tutte le scuole di pensiero e le varie tendenze, filtrandole e trasformandole in proprio patrimonio peculiare. Una vera e propria università non è mai stata istituita a Venezia. Esistevano tuttavia numerosi centri culturali, come il Circolo del grecista Giovanni Lascaris e le scuole di Rialto e San Marco che tenevano lezioni di filosofia morale e di retorica (aperte solo alla nobiltà).

Ci sono stati importanti centri di discussione intellettuale con splendide librerie collegate ad essi nei monasteri delle chiese di Santi Giovanni e Paolo, Santo Stefano, S. Francesco della Vigna, San Michele in Isola e Sant’Antonio a Castello.

 

ALDO MANUZIO E IL SUO MARCHIO

Aldo Manuzio non era solo uno stampatore, ma un vero e proprio editore. Uomo straordinariamente erudito, ha aiutato a preservare molti testi e ha raggiunto ottimi risultati.

Il primo studio dello stampatore era in Calle del Pistor, al numero 2343, nei pressi di Campo Sant’Agostin; si trasferì successivamente in Calle San Paterniano vicino a quello che è ora Campo Manin nel 1508.

Come stampatore ha pubblicato la Hypnerotomachia Poliphili nel 1499 per l’editore Leonardo Crasso a Verona.

E’ stato famoso anche per aver inventato il proprio carattere (font), probabilmente con l’aiuto del filosofo Frate Luca Pacioli e il disegnatore Francesco Griffo di Bologna.

I libri di Manuzio erano tenuti in grande considerazione e ha ricevuto numerosi riconoscimenti in tutta Europa, ma proprio per questo era oggetto di imitazioni e contraffazioni da parte di altri editori, in particolare a Firenze e Lione.

La sua stamperia divenne un circolo letterario. Manuzio era consapevole della sua grande responsabilità: convocava gli umanisti più importanti del tempo in Italia per utilizzarli come correttori (non solo traduttori e revisori di bozze, ma veri e proprio editori e consulenti editoriali).

Anche la sua scelta della carta -prodotta dalla cartiera Fabriano (la migliore sul mercato), formato 32 x 42 cm- ha portato a risultati sorprendenti. Una volta piegato a metà, ha ottenuto il “folio” (32 x 21 cm), in quattro il “quarto” (16 x 21 cm), in tre l’”ottavo” (10,5 x 16 cm). Manuzio ha progettato e iniziato ad usare l’”ottavo” con grande successo commerciale: in altre parole, aveva già inventato il libro in brossura (libro tascabile o “encheridio”) nei primi anni del XVI° secolo.

Nel maggio del 1502 Manuzio fondò un’accademia, il “Neacademia dei filelleni“, detta anche Accademia Aldina. Ha incoraggiato i rapporti commerciali, di collaborazione e di amicizia con le migliori menti del tempo, ed era un editore molto prolifico.

Grazie alla sua esperienza, il talento e l’abilità, il Senato ha nominato Manuzio come stampatore ufficiale della Repubblica di Venezia il 14 novembre 1502, dopo essere stato sponsorizzato da Marin Sanudo il Giovane (1466-1536).

E’ unanimemente accettato che il suo marchio di fabbrica (un’ancora e un delfino) si riferisca al motto “Festina lente” (“Affrettati lentamente”) attribuito da Svetonio a Ottaviano Augusto.

Grazie a Franco Filippi

Fonte: The Art of printing in Venice by Franco Filippi (http://www.venicethefuture.com/schede/uk/323?aliusid=323)

Ukiyo-e

L’Ukiyo-e è un genere di stampa artistica xilografica giapponese che permette una grande varietà di toni e sfumature di colore, essendo prodotta tramite l’impressione di molteplici matrici in legno (ognuna delle quali stampa almeno un colore) in un unico soggetto.

Il termine Ukiyo-e significa letteralmente “immagine del mondo fluttuante”, di un mondo in continua mutazione. La parola è anche un allusione al termine omofono “mondo della sofferenza”, il ciclo continuo di morte e rinascita, al quale i buddisti cercano di sottrarsi conseguendo l’illuminazione.

Le parole dello scrittore giapponese Asay Ryoi spiegano bene il significato di questo termine:

“Contemplare gli spettacoli naturali della luna, della neve, della fioritura dei ciliegi e delle foglie di acero, il gusto di cantare canzoni, bere sakè e provare piacere soltanto nel fluttuare, lungo la corrente del fiume come un secco guscio di zucca.”

I primi rudimenti della stampa arrivano dalla Cina in epoca medievale ed hanno una prima diffusione tra i monaci buddisti. Il genere assume la sua connotazione nell’epoca Edo (1600) grazie alla diffusione dei mercanti, alla creazione di libri illustrati e ai cartelloni del teatro kabuki.

All’inizio veniva usato solo inchiostro cinese in stampe monocrome, in seguito alcune stampe vengono dipinte manualmente, fino a quando nel XVIII secolo Suzuki Harunobu sviluppa la tecnica della stampa policroma per produrre nishiki-e.

Questo genere di stampa era destinato a chi non si poteva permettere dei veri quadri  perché erano economici, essendo prodotti in massa. Gli ukio-e rappresentavano principalmente soggetti tratti dalla vita cittadina delle classi sociali più basse come cortigiane (con scene sessualmente esplicite che causavano a volte sanzioni e condanne ad artisti ed editori), ritratti femminili, lottatori di sumo e attori del teatro Kabuki, impegnati nel loro lavoro e fuori dalle scene, oltre a soggetti naturali come paesaggi, fiori, insetti e animali.

La storia degli ukio-e si può dividere in due parti: la prima è il periodo Edo, dalle loro origini fino al 1867 circa, quando nasce l’era Meiji che durerà fino al 1912. Il periodo Edo, essenzialmente calmo, costituisce l’ambiente per la fioritura di quest’ arte nella sua forma commerciale, mentre il periodo Meiji è caratterizzato dalle nuove influenze dovute all’ apertura del Giappone all’ Occidente.

Nel XVIII secolo, con la nascita della stampa policroma, vengono prodotti gli ukio-e più famosi da grandi artisti dell’ epoca, come Utamaro, Hokusai, Hiroshige e Sharaku. Alcuni di questi artisti raffigurano temi naturali, come la famosa Grande Onda che fa parte delle “36 vedute del monte Fuji” di  Hokusai (1831), o le “100 vedute di Edo” di Hiroshige (1856-58), mentre altri sono famosi per i ritratti femminili, come i bijin-ga di Utamaro o i ritratti di attori del teatro Kabuki di Sharaku, che col loro innovativo realismo gli alienarono l’ambiente artistico di Edo, ma lo fanno ora considerare il primo artista giapponese “moderno”.

Nello stesso periodo viene introdotto l’uso della prospettiva grazie ai contatti con l’occidente attraverso le opere di artisti quali Canaletto, Guardi e Polo Uccello, mutando definitivamente lo stile degli ukiyo-e.

Nel 1868, in seguito alla Restaurazione Meiji (l’apertura del Giappone verso l’ Occidente), comincia il declino degli ukiyo-e che vengono gradualmente rimpiazzati dalla fotografia. Dalla Germania arrivano i colori chimici all’anilina che rimpiazzano i colori vegetali usati nella tradizione e abbassano la qualità delle stampe. Il cambiamento nella società giapponese, durante la sua occidentalizzazione, rendono gli ukiyo-e fuori moda nel loro paese di origine, mentre all’estero acquisiscono fama crescente, fino ad influenzare movimenti artistici come l’Art Nouveau e l’ Impressionismo (questa influenza viene chiamata giapponismo).

Tra gli artisti in cui possiamo notare maggiormente l’ influenza dell’arte Giapponese ci sono Edgar Degas, Vincent Van Gogh, Henri de Toulouse-Lautrec, Paul Gauguin, Claude Monet, Edouard Manet, Pierre-Auguste Renoir, Camille Pissarro e Gustav Klimt.

Le caratteristiche dell’arte giapponese più evidenti nelle opere degli artisti che da essa sono stati ispirati sono la rappresentazione bidimensionale, data dall’ uso di colori piatti, contrastanti sullo sfondo, senza chiaroscuro ma comunque dinamica, con linee curve e sinuose che danno l’idea del movimento, oltre al taglio fotografico della costruzione dell’ opera e l’uso della prospettiva essenziale.

Oltre al campo artistico, l’ arte giapponese influenza anche la musica. Claude Debussy compose il suo poema più conosciuto, La Mer, prendendo ispirazione dalla Grande Onda di Hokusai (dalle “36 vedute del monte Fuji”), che divenne poi la copertina dell’ edizione del 1905.

Nel XX secolo l’ ukiyo-e torna di moda attraverso i movimenti shin hanga e sosaku hanga.

Il movimento shin hanga (letteralmente “nuove stampe”) è ispirato dall’ Impressionismo Europeo e mira ad incorporare elementi occidentali come gli effetti di luce e l’espressione di stati d’ animo individuali, sviluppando comunque temi strettamente tradizionali.

Il movimento sosaku hanga (letteralmente “stampe creative”) segue il concetto occidentale di arte come il prodotto dell’ artista, che deve essere coinvolto in ogni stadio della produzione, andando contro il processo tradizionale di produzione e stampa dell’ ukiyo-e, che vedeva impiegate persone diverse e fortemente specializzate.

Gli ukiyo-e vengono prodotti ancora oggi.

PROCEDIMENTO TECNICO:

  • L’artista crea il disegno originale con l’ inchiostro
  • L’assistente crea una traccia del disegno originale
  • Gli artigiani incollano la traccia del disegno a testa in giù sulla matrice in legno, incidendo le parti in cui la carta non è stata disegnata e lasciando intatta la superficie del legno dove si presentano i segni
  • Il blocco viene inchiostrato e stampato producendo delle copie del disegno originale
  • Queste stampe venivano a loro volta incollate a faccia in giù su altre matrici in legno che venivano scavate lasciando intatta la superficie corrispondente alle aree che dovevano essere di un determinato colore nella stampa finale. Ognuna di queste matrici stampa almeno un colore
  • La serie di matrici viene inchiostrata e stampata sovrapposta una all’altra creando nella stampa finale linee e sfumature di diversi colori, a volte imprimendo più di una volta una matrice per dare più profondità al colore.

Fonti:
http://it.wikipedia.org/wiki/Ukiyo-e
http://www.elapsus.it/home1/index.php/arte/artisti/832-il-mondo-fluttuante-delle-stampe-giapponesi-ukiyo-e
http://www.cultor.org/Orient/Ukiyo/UkiyoE/42/index.html
http://it.wikipedia.org/wiki/Toshusai_Sharaku
http://it.wikipedia.org/wiki/Giapponismo

 

Huck Scarry – Diario Veneziano

Huck Scarry (il cui vero nome è Richard McClure Scarry) è figlio d’arte di Richard Scarry (http://it.wikipedia.org/wiki/Richard_Scarry), famoso illustratore e autore di libri per l’infanzia.

Huck Scarry è nato nel Connecticut nel 1953, vive e lavora a Vienna. Completati gli studi in una scuola di grafica a Losanna, ha vissuto a Parigi, New York e Venezia.

Il nome che usa solitamente per firmare i suoi lavori è Huck, il soprannome di Huckle Cat, uno dei più ricorrenti personaggi di Busytown, una città immaginaria abitata da un assortimento di animali antropomorfi, descritta in vari libri per bambini del padre.

Quando Huck lavora con lo stile del padre, invece si firma Richard Scarry.

In questo articolo desidero parlare del suo libro “Diario Veneziano”,del 1993,  che contiene una serie di acquerelli e disegni a matita di Venezia, e che mi è stato e continua ad essere di grande ispirazione per i miei lavori.

 

Il libro è nato raccogliendo schizzi a matita e dipinti ad acquerello, prodotti percorrendo calli e canali della famosa città lagunare, come racconta lui stesso nell’introduzione al libro: “Ogni volta che potevo, prendevo la mia scatola di colori, il mio album da disegno e il mio seggiolino pieghevole e andavo a dipingere per le stradine di Venezia e in laguna. I disegni riempirono la mia cartelletta e diventarono l’inizio del mio diario veneziano…”

Gli acquerelli che si possono ammirare in questa formidabile raccolta sono leggeri e veloci, eppure accurati e di preziosa fattura, ci trasportano nella magia di una città tra le più raccontate eppure ancora misteriosa per la molteplicità dei suoi volti.

Lo sguardo dell’artista riesce a cogliere nuovi misteri anche quando osserva soggetti conosciuti e ipersfruttati dalle “cartoline” di Venezia, attraverso un diverso punto di vista, dando nuova vita ad oggetti inanimati che sembrano respirare nei soffusi colori pastello, nel gioco di sole ed ombra sui muri scrostati e sui vecchi marmi, nei riflessi multicolori del mondo sull’acqua antica di Venezia.

Altra parte importantissima di questo libro sono i disegni a graffite, leggerissimi ma di forte carattere, così semplici eppure perfetti nel raccontare la forte complessità dell’architettura veneziana, dei suoi ponti, camini e pozzi.

Consiglio vivamente questo libro a chi ama l’arte e i bravi artisti, a chi ama Venezia anche senza conoscerla e a chi, come me, ama, conosce e vive ogni giorno la città più bella tra tutte.

Per finire, mi auguro che tra tutte le persone che ogni giorno si fermano per calli e campielli a ritrarre scorci e vedute di Venezia, presto qualcuno ci regali un altro libro così bello.

 

Fonti

http://en.wikipedia.org/wiki/Richard_Scarry

http://it.wikipedia.org/wiki/Richard_Scarry

http://en.wikipedia.org/wiki/Busytown

Introduction: “Diario Veneziano”, Huck Scarry, Arnoldo Mondadori Editore 1993

Incisione – parte #3

LITOGRAFIA

La litografia è una tecnica di stampa attraverso l’uso di una lastra di calcare. Il componente principale di questo tipo di pietra è il carbonato di calcio, che ha la proprietà di modificare in superficie la sua composizione chimica a contatto con gli acidi e di accogliere facilmente le sostanze grasse. Grazie a questa proprietà, è possibile creare sulla superficie della pietra zone con diverse proprietà fisico-chimiche: igroscopiche, che attraggono e trattengono l’acqua, ma respingono gli inchiostri grassi-resinosi; grasse, che respingono l’acqua ma trattengono gli inchiostri.

Per preparare la matrice di pietra si possono utilizzare due metodi: quello chimico e quello fisico. Tra gli altri, le tecniche di litografia a matita o a pennello appartengono al metodo chimico; la litografia incisa e la litografia a sbalzo appartengono al metodo fisico. In questo articolo tratterò solo le tecniche che ho usato personalmente per produrre le mie opere.

 

LITOGRAFIA A MATITA E LITOGRAFIA CRAYON

Inizialmente, la pietra è liscia e pulita pulendola con un’altra pietra, una volta smussati gli angoli. Una volta asciutta, si procede disegnando con una matita o un pastello litografico direttamente sulla pietra. In questo modo si ottengono le stampe molto simili a disegni a matita, con ombreggiature e chiaroscuro.

Una volta terminato il disegno, spolverare la superficie della lastra con talco fine e passare all’incisione della matrice, stendendo su tutta la pietra una soluzione di gomma arabica e acido con un pennello largo e lasciandola asciugare per almeno 12 ore.

I passi successivi consistono nel lavare l’acido dalla pietra e stendere un sottile strato di gomma arabica per proteggere le parti della pietra che rimarranno bianche.

Con una soluzione di trementina e olio si controllano le zone della matrice disegnate con la matita o il pastello, togliendole, e si passa un sottile strato di “litofina” (una miscela di catrame e trementina), che, penetrando nelle zone precedentemente disegnate, le rende ancora più grasse e quindi facilmente colorabili.

Dopo l’asciugatura, si spolvera di talco, rendendo la pietra una matrice pronta per essere stampata con una pressa litografica.

 

LITHOGRAFIA A PENNELLO

Nella tecnica della litografia a pennello, la preparazione della pietra è la stessa descritta sopra, con la differenza che il disegno è fatto sulla pietra con il pennello e con l’inchiostro litografico. Per ottenere varie tonalità di colore, è opportuno diluire l’inchiostro con un po’ d’acqua. In questo modo, la matrice riporterà sulla stampa litografica un effetto molto simile ad un dipinto, con i gesti e la varietà di segni che questo potrebbe dare.

Per ottenere una buona varietà di tonalità, dal nero più chiaro al nero più profondo, la pietra deve essere trattata con un sale neutro solubile. Il resto della lavorazione della matrice è la stessa descritta sopra per la tecnica a matita o a matita.

Incisione – parte #2

2. CALCOGRAFIA

L’incisione su rame è una tecnica di stampa “cava”. I segni incisi sulla lastra prendono il colore e lo trasferiscono sulla carta durante il processo di stampa, mentre le aree della matrice che non sono state lavorate mantengono il colore della carta. In questo modo, i segni realizzati sulla matrice diventano direttamente i segni che verranno stampati su carta.

La matrice calcografica è una lastra di metallo (rame, zinco, ottone, ottone, alluminio) che può essere più o meno dura, e che può essere lavorata direttamente (in questo caso la forza della mano, con l’aiuto di punte metalliche, incide la matrice) o indirettamente (qui invece l’acido corrode e scava il segno sulla lastra).

PUNTASECCA

La lavorazione in maniera diretta, detta puntasecca, consiste nell’incidere la lastra con una punta dura che, opponendosi con più o meno forza, solleva le barbe (piccole creste di metallo corrispondenti alla scanalatura creata). Queste creste, insieme al segno inciso, mantengono il colore durante la fase di inchiostrazione e creano un effetto speciale e riconoscibile.

Casa veneziana nel sestiere di Castello – Puntasecca

La lavorazione in modo indiretto che fa uso di acidi e si diffonde in modi diversi, spesso utilizzati insieme, che daranno risultati diversi. I due processi principali che ho sperimentato sono: acquaforte e acquatinta.

ACQUAFORTE

Usiamo questa tecnica per ottenere i segni sul foglio. La matrice metallica, dopo essere stata pulita e lucidata, viene protetta con una speciale vernice che impedisce all’acido di agire su tutta la superficie.

Grazie ad una punta, sulla matrice sono tracciati dei segni che la privano della sua protezione. Una volta che la lastra è immersa nell’acido, questi segni saranno soggetti all’azione corrosiva dell’incisione metallica nel metallo, più o meno in profondità, a seconda del tempo di esposizione in acido.

Si possono ottenere intensità diverse nei vari segni della stessa lastra, procedendo con varie morsure (in bagni di acido) e proteggendo con la vernice i segni che si vogliono alleggerire.

 

Canal Grande – Vista dal Ponte dell’Accademia – Acquaforte

 

ACQUATINTA

Questa tecnica viene utilizzata per ottenere tonalità di diversa intensità sulla piastra. Anche in questo caso la lastra deve essere protetta dall’azione corrosiva dell’acido, ma a differenza dell’acquaforte non si utilizza vernice, ma una polvere finissima stesa uniformemente sulla superficie metallica.

Successivamente la lastra viene riscaldata e la polvere si scioglie su di essa, proteggendo e permettendo all’acido di agire simultaneamente sul metallo in modo controllato.

Per ottenere diverse intensità è sufficiente proteggere le zone del foglio che si desidera mantenere più chiare stendendo uno strato di vernice protettiva e lavorando con varie morsure.

Un’alternativa all’uso di polvere speciale è quella di stendere uno strato uniforme di vernice spray sulla piastra.

 

Ponte Chiodo – Acquaforte + Acquatinta

MANIERA A ZUCCHERO

L’altra tecnica che ho usato nel mio lavoro è la cosiddetta maniera a zucchero, che permette di ottenere un effetto simile all’acquerello.

Questa tecnica consiste nel dipingere la lastra con un pennello imbevuto di una speciale soluzione zuccherina, e una volta asciutta la lastra viene ricoperta da un sottile strato di vernice protettiva. Successivamente si versa acqua calda sulla lastra che separa la vernice dalle zone trattate solo con la soluzione zuccherina e si procede alla protezione delle zone esposte come nell’acquatinta (con speciale polvere fine o vernice spray).

A questo punto la piastra viene immersa come di consueto in acido e si procede con le varie morsure.

Pesce – Acquaforte + Maniera a zucchero

Fonti

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