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Il Carnevale di Venezia
La celebrazione del carnevale deriva da festività molto antiche, quali le dionisiache greche e i saturnali romani, dove per un periodo di tempo limitato venivano meno gli obblighi sociali e le gerarchie.
L’Ospedale Civile di San Giovanni e Paolo
L’Ospedale Civile di San Giovanni e Paolo era un tempo conosciuto come Scuola Grande di San Marco, ed è un edificio rinascimentale situato in campo dei santi Giovanni e Paolo, nel sestiere di Castello.
Il 25 Aprile: San Marco e il “bocolo”
A Venezia il 25 aprile la festa è una e una soltanto: la festa di San Marco evangelista, santo patrono della città.
James Abbott McNeill Whistler: un autentico amante di Venezia
“Se l’uomo che dipinge solo l’albero o il fiore, o un’altra superficie che vede davanti a lui fosse un artista, il re degli artisti sarebbe il fotografo. E’ compito dell’artista fare qualcosa che va oltre.” James Abbott McNeill Whistler
James Abbott McNeill Whistler è stato un grande e famoso pittore statunitense, divenuto famoso per opere quali “Arrangiamento in grigio e nero n. 1” conosciuto anche come “La madre di Whistler”.
Quello che meno persone conoscono invece è il suo genio nella produzione di incisioni calcografiche: Whistler è stato tra i più inventivi ed influenti incisori della storia, realizzando quasi 500 incisioni in cinque decenni. Si avvicina all’incisione nel 1857, a 23 anni, come giovane disegnatore dotato e appassionato, utilizzando la tecnica della calcografia per registrare e riprodurre schizzi veloci all’epoca in cui l’incisione veniva utilizzata come mera tecnica riproduttiva. Dal XVIII secolo infatti la stampa d’arte era diventata quasi esclusivamente un mezzo per riprodurre opere d’arte e ritratti, andando incontro ad una vera e propria industrializzazione. Proprio sul finire del XIX secolo, con la nascita e l’affermarsi della fotografia, l’incisione riesce a liberarsi della sua funzione utilitaristica, proprio grazie ad artisti quali Whistler, che ne riscoprono quella vitalità ed autonomia che la caratterizzavano agli inizi. Nei suoi primi anni di sperimentazione con questa tecnica lavora all’aperto, disegnando sul rame opportunamente preparato, per poi procedere alla morsura nella sua stanza, girando l’Alsazia-Lorena e la Renania. Nel 1859 si sposta a Londra, dove produce viste del Tamigi, restando fedele alla purezza del realismo disadorno ispirato alle stampe giapponesi. In quel periodo inizia anche a strofinare gli inchiostri in modo espressivo e a lavorare utilizzando la tecnica della puntasecca, preferendola all’acquaforte, per la produzione di ritratti e figure. Dal settembre 1879 Whistler si sposta a Venezia per produrre dodici acqueforti, su commissione della Fine Arts Society di Londra, che si aspettava il ritorno dell’artista dopo un soggiorno di tre mesi. L’artista invece si ferma nella città lagunare quattordici mesi e produce cinquanta acqueforti, oltre a cento pastelli, raggiungendo il suo apice creativo. Le vedute di canali minori, gli ingressi a palazzi, i riflessi danzanti nell’acqua e gli oscuri paesaggi evanescenti rappresentano luoghi conosciuti dalle persone del posto, lontani dagli itinerari turistici, appena prima che Venezia venisse svenduta alle masse.
Da sostenitore dell’”arte per il gusto dell’arte”, nella celebrazione della bellezza visiva,la sua opera è un lavoro onesto che mostra gli spazi più intimi di Venezia, mostrando allo spettatore la città attaverso gli occhi di un veneziano e contribuisce a ridisegnare la mappa della città lagunare. L’acquaforte ha offerto a Whistler l’opportunità di unire la velocità di esecuzione, disegnando rapidamente le idee sulla lastra, alla possibilità di perfezionarle e svilupparle attraverso molteplici stati, mettendo in luce la sua complessa estetica. Il suo lavoro, con un approccio così innovativo, non ha solo attirato seguaci e imitatori, ma ha influenzato l’intero mondo dell’arte.
“Ho imparato a conoscere una Venezia a Venezia che gli altri non sembrano aver mai percepito…”
James Abbott McNeill Whistler
Fonti https://www.frasicelebri.it/frasi-di/james-mcneill-whistler/ https://it.wikipedia.org/wiki/James_Abbott_McNeill_Whistler https://themitchellgallery.wordpress.com/2013/11/06/james-mcneill-whistler/ https://www.metmuseum.org/toah/hd/whet/hd_whet.htm https://news.virginia.edu/content/museum-opens-printmaking-venice-exhibit-inspired-whistler-s-art https://plumplumcreations.com/the-history-of-printmaking-part-2/
29 Ottobre: un normale giorno di acqua alta straordinaria
Vedete queste persone? Le vedete bene? Ecco.
Questi sono degli idioti.
Queste persone sono state fotografate l’11 novembre 2012 in Piazza San Marco, quando l’acqua alta a Venezia ha raggiunto i 140 centimetri. Queste persone fanno parte della stragrande maggioranza dei turisti che ogni anno visitano Venezia pensando che non sia una città con i suoi problemi, i suoi abitanti, i suoi drammi, ma un parco divertimenti in cui tutto è “finto”, tutto è divertente e tutto è lecito perché -come spesso si sente dire- “io pago per stare qui”.
Un’altra considerazione: questi idioti stanno facendo il bagno in un’acqua sporca, perché forse non lo sapete ma parte delle fogne di Venezia scaricano nei canali… e vi assicuro che quell’acqua puzza come poche cose al mondo!
Questo articolo non vuole essere polemico, vuole essere semplicemente la cronaca di cosa è successo dal mio punto di vista il 29 ottobre 2018, quando l’acqua a Venezia ha raggiunto i 160 centimetri (20 centimetri più alta della foto sopra). E voglio in qualche modo informare le persone su alcuni aspetti dell’acqua alta che forse non conoscono o a cui non hanno mai pensato.
E vorrei cercare di far capire a molti che magari non lo sanno, o che magari non ci hanno mai pensato, che per la maggior parte delle persone che vive e soprattutto lavora a Venezia, un’acqua alta di queste proporzioni è un vero e proprio dramma.
Per questo vedere turisti che si divertono a fare foto come quella che ho pubblicato sopra fa rabbia, perché è un’inconsapevole presa in giro delle persone che subiscono gravi danni, economici e perfino psicologici.
Per esempio: mentre avevo il negozio completamente allagato e cercavo disperatamente di salvare il possibile, fuori c’erano persone che passavano e volevano fare delle foto a me e al negozio sommerso.
Questi non li considero turisti, questi sono sciacalli.
Perché vi assicuro che vedere il proprio laboratorio, il proprio negozio, la propria abitazione invasi dall’acqua non fa certo piacere.
Io personalmente mi sono sentita persa quando ho visto che tutte le misure che avevo preso per contrastare questo fenomeno erano state vane.
Ma andiamo con ordine.
L’allarme acqua alta era cominciato diversi giorni prima, quando il servizio di previsioni maree aveva annunciato un’acqua alta molto sostenuta per il giorno 28 nel pomeriggio. Il giorno prima quindi ho provveduto ad alzare tutti i materiali che solitamente sono appoggiati al pavimento e quelli che erano a un livello più basso.
Bisogna tenere conto di una cosa: io ho due paratie (una per la porta davanti e una per la porta che dà sul cortile dietro) e una pompa che “sputa” fuori l’acqua quando raggiunge un certo livello e che per le acque alte “normali” mi consente di stare relativamente tranquilla. Il problema però è che dopo una certa misura (attorno ai 115 centimetri, quindi praticamente ogni volta che c’è acqua alta) l’acqua alta comincia a salire dal pavimento..! Ad ogni modo, per acque alte così ci sono solo molti fastidi ma non veri e propri danni.
Qui di seguito c’è la foto-storia di quello che è successo quel giorno.
Il giorno prima ho preparato tutto: ho sollevato tutto per proteggere i materiali.
29 Ottobre: l’acqua comincia a salire…
Il livello dell’acqua supera la vetrina e si avvicina pericolosamente al bordo della paratia. L’acqua comincia a salire anche dal pavimento.
A questo punto siamo davvero troppo vicino, il vento di scirocco continua a soffiare ed è un attimo: l’acqua passa la paratia, entra in studio e invade tutto. La paratia non serve più, la pompa non serve più: non c’è più differenza tra interno ed esterno. Le cose a un livello inferiore iniziano a galleggiare e girano per il negozio.
Anche il cortile retrostante è inondato, sommergendo e rovinando le mie amate piante che avevo inutilmente posto sopra alcuni rialzi di legno.
La marea di solito cresce per 6 ore e poi cala per le successive 6 ore. Questa volta, a causa delle avverse condizioni atmosferiche (soprattutto il forte vento di scirocco), la marea è diminuita molto poco, tanto che il minimo è stato di circa 130 centimetri. E la sera l’acqua è tornata di nuovo alta. Per fortuna poi, dopo la mezzanotte, il vento ha perso forza e l’acqua ha cominciato a scendere, lasciando dietro di sé solo sporcizia e un pessimo odore (….e pensate che c’è chi ci fa il bagno!).
Il cortile dietro era un disastro
Ci sono voluti quasi tre giorni per pulire, disinfettare e asciugare tutto. Un lavoro molto duro, e mi rendo conto che io sono molto fortunata perché non ho subito gravi danni. Ci sono molti commercianti e artigiani con macchinari elettrici che hanno subito danni irreparabili, danni economici e che ora devono ricominciare da capo investendo denaro: quest’acqua alta non è divertente, è una disgrazia.
Questa mia testimonianza non vuole essere assolutamente un modo per “piangersi addosso” o autocelebrarsi: voglio solo cercare di far capire a chi non conosce il fenomeno dell’acqua alta cosa c’è veramente dietro qualcosa che a molti può sembrare divertente, ma che in realtà comporta solo danni e giornate di duro lavoro.
Colgo l’occasione per salutare tutti voi che forse avete imparato qualcosa da questo articolo e tutti gli artigiani di Venezia che non si arrendono.
Arianna
PS: Per portare fuori Bic, il mio cane che mi fa sempre compagnia in studio, a fare i suoi “bisogni” serali ho dovuto prenderlo in braccio e trovare un posto abbastanza alto in cui potesse camminare e non nuotare… un’impresa! E anche lui non era molto contento… 🙂
Stampa di linoleografie a Venezia
Una linoleografia è un tipo di stampa a rilievo molto simile alla xilografia. Quando si stampa una linoleografia, si incide un’immagine in un blocco di linoleum (nella xilografia si usa il legno) e ciò che resta del blocco viene inchiostrato e poi stampato.
Mi piace moltissimo lavorare il linoleum, e in questo articolo vorrei condividere con voi la parte più bella del processo (l’ultima parte): la stampa vera e propria.
Prima di stampare, ho inciso due matrici (o blocchi) di linoleum (la parte più difficile e lunga del processo di stampa): ogni matrice alla fine stamperà un colore diverso sulla carta.
Quando le matrici sono pronte, posso concentrarmi sulla preparazione dei colori.
Il colore che ho usato per la prima stampa è un verde chiaro che ho creato mescolando giallo, bianco e verde permanente, un bel verde brillante che aveva bisogno di essere un po’ schiarito e “spento”.
Ho poi diluito leggermente l’inchiostro con dell’olio di vaselina, amalgamandolo bene con l’aiuto della spatola di metallo.
Vi svelo un piccolo segreto: una volta pronti, conservo sempre i colori in una busta di carta da cucina, per mantenerli freschi a lungo!
Una volta scelto il colore, l’ho steso sul mio piano di inchiostrazione (in plexiglas) con l’aiuto di una spatola di gomma.
Passando ripetutamente sull’inchiostro, in verticale ed orizzontale, il rullo si inchiostra omogeneamente.
Ho poi portato l’inchiostro dal rullo alla lastra, facendo attenzione a coprire interamente la mia matrice.
Ho posizionato il foglio su una tavoletta di legno, che funge da piano del mio torchio, e sopra di esso la lastra di gomma inchiostrata. Una tavoletta uguale a quella inferiore viene messa sopra alla lastra, ed infine un foglio di gomma morbida, per ammortizzare la pressione del torchio.
Ho inserito il “sandwich” nel torchio e ho stretto la pressa per qualche secondo.
Tolgo pressione e vedo il risultato, staccando dolcemente la lastra dal foglio.
E questo è il risultato: il primo colore è fatto!
Ora procedo con il secondo colore, ripetendo gli stessi passaggi passi ma naturalmente usando la seconda matrice! 🙂
Per il secondo colore avevo bisogno di un verde più scuro, ma che si accordasse bene col primo.
Ho mescolato lo stesso verde brillante della matrice chiara con del grigio di payne, un grigio che tende molto al blu.
E questo è il risultato finale!
Questa è la tecnica che ho utilizzato per tutte le mie linoleografie.
Se volete saperne di più sulla tecnica della linoleografia e se volete provare a realizzare una linoleografia fatta da voi, potete provare uno dei miei corsi: sono sicura che vi piacerà e rimarrete affascinati da questa bellissima tecnica di incisione!
David Hockney a Ca’ Pesaro
Si avvicina la fine di una bellissima mostra a Ca’ Pesaro, il grandioso palazzo della seconda metà del XVII secolo, sede della Galleria Internazionale d’Arte Moderna.
La mostra di David Hockney, esposta dal 24 giugno al 22 ottobre, è la prima grande mostra italiana dedicata al maestro dell’arte contemporanea ed ha portato per la prima volta nel nostro Paese il suo più recente progetto: 82 ritratti e una natura morta.
David Hockney nasce il 9 luglio del 1937 a Bradford, una cittadina industriale inglese del West Yorkshire, e frequenta il Royal College of Art di Londra dopo la formazione alla Bradford School of Art.
Nel 1960 espone alla storica mostra londinese Young Contemporaries alla Whitechapel Art Gallery, esposizione che segna la nascita della pop art britannica, di cui David diventa uno dei principali esponenti.
Al 1961 risale il suo primo viaggio negli Stati Uniti, a New York, e poi nel 1964 a Los Angeles, città che lo ispirerà con la sua abbagliante luce californiana e di cui diventerà interprete traducendo l’atmosfera della vita americana in opere divenute famosissime.
Il suo lavoro dagli inizi ad oggi vede l’elemento figurativo come assoluto protagonista, dal ritratto al paesaggio, tramite l’uso di tecniche artistiche tradizionali e nuovi media.
David spazia tra disegno a pastello, incisioni, dipinti ad olio, collage fotografici, fino ai disegni su iPad, ritraendo la vita che lo attornia, e lavora anche a svariate scenografie sia in Inghilterra che negli Stati Uniti. Le sue opera lo portano a diventare uno degli artisti più noti e importanti del ventesimo secolo e, da qualche decennio, l’artista britannico più noto.
Segnalo una citazione al suo famoso quadro “Portrait of an Artist (Pool with two figures)” in una delle mie serie Netflix preferite: nello studio di Bojack Horseman, in versione cavallo.
Nella mostra in corso a Ca’ Pesaro vediamo gli 82 ritratti prodotti tra il 2013 e il 2016, che raffigurano galleristi, curatori, artisti e volti celebri di Los Angeles, ma anche familiari e amici.
Ogni ritratto viene eseguito nelle stesse condizioni: il tempo di realizzazione è di tre giorni (o come dice l’artista, “venti ore di esposizione”), con il soggetto seduto su una sedia posta su una pedana con alle spalle uno sfondo neutro a due toni, a riprova che, nel limite di queste leggi rigide di rappresentazione, la grandezza del maestro si misura nella sua capacità di esprimere un’infinita gamma di temperamenti umani.
Fonti
http://www.veneziatoday.it/eventi/location/ca-pesaro/
http://www.veneziatoday.it/eventi/mostra-david-hockney-ca-pesaro.html
http://capesaro.visitmuve.it/it/mostre/mostre-in-corso/david-hockney/2017/03/18600/82-ritratti-e-1-natura-morta/
https://it.wikipedia.org/wiki/David_Hockney
http://www.ilpost.it/2017/07/09/david-hockney/
Vere da pozzo
Venezia è senza dubbio uno spettacolo unico, una sinfonia di tesori, monumenti, palazzi, scorci, storia, poesia e molte altre cose ancora, e a volte si resta abbagliati da tutta questa bellezza che non ci si rende conto che proprio davanti agli occhi ci sono degli spettacoli di architettura, di arte ma anche di ingegneria che passano quasi inosservati. E’ questo il caso delle vere da pozzo, veri e propri gioielli d’arte e soprattutto dell’ingegno tipicamente veneziano che hanno contribuito a rendere così potente la Serenissima.
Può sembrare strano che una città attraversata e circondata da così tanta acqua abbia sempre avuto problemi per l’approvvigionamento idrico.
Marin Sanudo, storico e cronista veneziano, intorno ai primi anni del 1500 scriveva “Venezia è in acqua et non ha acqua” (“Venezia è in acqua ma senza acqua”).
A causa della sua conformazione geologica, le uniche aree dove erano presenti delle ricche vene d’acqua dolce erano i lidi, dove sono stati trovati dei pozzi naturali, formatisi dall’accumularsi dell’acqua piovana filtrata e depurata dalla sabbia.
Il ritrovamento di questi pozzi potrebbe aver influenzato il metodo costruttivo dei pozzi, perché solo a Venezia si usarono strati di sabbia per filtrare e rendere potabile l’acqua piovana.
Già nell’Alto Medioevo i cittadini avviarono la costruzione di cisterne sotterranee, mentre il governo incoraggiava e promuoveva la realizzazione di impianti idrici.
La soluzione ai problemi idrici di una popolazione sempre in crescita alla fine fu trovata grazie alla realizzazione dei “pozzi alla veneziana”.
Queste strutture fungevano sia da cisterna per l’acqua dolce, che veniva portata dai fiumi Brenta e Sile (compito della “Corporazione degli Acquaioli” fondata nel 1386), che per la depurazione dell’acqua piovana.
Una volta individuata la posizione migliore per la costruzione del pozzo si procedeva con l’esecuzione dello scavo, solitamente non più profondo di 5 metri sotto il livello del mare, a volte sopraelevando un intero campo, per raggiungere la profondità necessaria e per evitare che l’acqua salmastra della laguna entrasse nella cisterna in conseguenza all’alzarsi della marea.
Le pareti e il fondo della cisterna sotterranea venivano ricoperte da uno strato di argilla che la rendeva impermeabile ad eventuali infiltrazioni di acqua salmastra dal sottosuolo.
L’argilla veniva poi ricoperta con strati di sabbia pulita, di diversa finezza, che veniva costantemente bagnata, e che aveva i compito di filtrare l’acqua piovana.
L’acqua piovana veniva raccolta all’interno del pozzo attraverso due o quattro tombini in pietra d’Istria, detti “pilelle”, che venivano disposti in maniera simmetrica rispetto alla canna del pozzo.
In certi pozzi il perimetro della cisterna sottostante veniva segnalato in superficie da una cornice in pietra d’Istria tuttora visibile
Al di sotto delle “pilelle” venivano costruite delle strutture in mattoni dalla forma di campane aperte sul fondo, per convogliare più acqua possibile, mentre la pavimentazione soprastante era leggermente sopraelevata attorno ai tombini, per aiutare il defluire dell’acqua grazie alla forza di gravità.
Sul fondo della cisterna, al centro dello scavo, veniva posta una lastra di pietra d’Istria su cui si costruiva la canna del pozzo in mattoni speciali, detti “pozzali”, che consentivano all’acqua piovana filtrata di entrare nella canna.
Nella sommità della canna, solitamente sopraelevata da uno o due gradini, veniva posta la vera da pozzo, l’unica parte della struttura esterna alla pavimentazione.
Solitamente le vere da pozzo erano costruite in pietra d’Istria e calcare veronese, anche se in alcuni casi, nei pozzi più antichi, erano ricavate da grandi capitelli provenienti da costruzioni di epoca romana.
Col tempo e con l’evolversi del gusto architettonico le vere da pozzo sono diventate dei veri e propri elementi ornamentali, con moltissime forme e decorazioni diverse.
La costruzione di un pozzo era sicuramente un lavoro economicamente molto impegnativo, a causa della complessità del procedimento, e la Repubblica incoraggiava le famiglie nobili a donare un pozzo alla città, dando lustro alla casata. Per questo motivo moltissimi pozzi riportano stemmi nobiliari, iscrizioni e bassorilievi relativi alla famiglia che si era fatta carico della costruzione.
L’ubicazione dei pozzi poteva essere molto varia: dal campo al chiuso delle case, in corti private o in chiostri.
La manutenzione era necessaria, affinché il pozzo si mantenesse sempre in ordine e salubre, ed era la Repubblica che si occupava di questo, assicurando un assidua sorveglianza da parte dei fanti dei Provveditori alle Acque.
Dovevano effettuare controlli anche i parroci e i capi contrada, ai quali era affidata la custodia delle chiavi delle cisterne, che venivano aperte due volte al giorno (mattina e sera) al suono della “campana dei pozzi”.
Secondo una statistica redatta dall’Ufficio tecnico comunale del 1 dicembre 1858, a quel tempo erano presenti 6046 pozzi privati, 180 pubblici, oltre a 556 già interrati.
Nel XlX secolo, con la costruzione dell’acquedotto cittadino, l’impiego dei pozzi venne progressivamente abbandonato e i pozzi vennero chiusi alla sommità con coperture in metallo o cemento per motivi di sicurezza.
Ad oggi i pozzi ancora presenti sono 600 e svolgono una funzione puramente estetica, in una città che in passato ha sempre saputo migliorarsi attraverso le difficoltà, grazie all’ingegno e alla buona volontà dei suoi abitanti.
Fonti
A. Penso, I Pozzi, in ArcheoVenezia del 4 dicembre 1995
http://venezia.myblog.it/2016/01/20/le-vere-pozzo-venezia-straordinario-sistema-idrico-ornamento-della-serenissima/
https://it.wikipedia.org/wiki/Pozzo_(Venezia)
https://it.wikipedia.org/wiki/Vera_da_pozzo
http://veredapozzo.com
https://venicewiki.org/wiki/Vere_da_pozzo
La Regata Storica di Venezia e Caterina Cornaro: la forza di una donna
Domenica 3 settembre si svolgerà -come ogni anno la prima domenica di settembre- la Regata Storica di Venezia, che vedrà il suo clou nella bellissima regata dei gondolini, gara affascinante, ricca di tradizione e anche di accese e storiche rivalità.
Prima delle gare ufficiali, ci sarà il bellissimo corteo storico che vuole rievocare un particolare episodio della storia della Serenissima: il trionfale ritorno di Caterina Cornaro da Cipro a Venezia avvenuto nel 1489
Ma chi era Caterina Cornaro, e perché viene celebrata questa ricorrenza? Qual è la sua storia?
La storia di Caterina è di fatto la storia di una donna forte, coraggiosa e molto amata, che intreccia sentimenti e intrighi politici.
Caterina Cornaro (in veneziano il cognome è Corner), apparteneva ad una delle più potenti famiglie veneziane. Nacque il 25 novembre 1454 a Venezia e trascorse la sua infanzia prima nel palazzo di famiglia sul Canal Grande e in seguito in un monastero presso Padova.
A 14 anni sposò per procura Giacomo II di Lusignano, re di Cipro e di Armenia. Il matrimonio era stato proposto dallo zio paterno Andrea Corner, esiliato nell’isola di Cipro dalla Repubblica di Venezia.
Inutile dire che si trattava del classico matrimonio di interessi, che in questo caso erano molteplici: i Corner potevano meglio amministrare i propri possedimenti nell’isola, Venezia poteva estendere la sua influenza su Cipro e consolidare il proprio controllo sul Mediterraneo, e infine Cipro trovava in questo modo un potente alleato nella lotta contro i genovesi che avevano pretese su Famagosta e contro la minaccia turca.
A dire il vero Giacomo II ritardò il suo impegno di matrimonio, perché cercava di avvicinarsi in tutti i modi al Regno di Napoli, da sempre nemico di Venezia; tuttavia le insistenze dei veneziani e soprattutto l’avanzata ottomana lo convinsero a rispettare i patti e nel 1469 concluse un’alleanza con cui Cipro veniva posto sotto la protezione della Repubblica.
Ed è così che nel 1472 Caterina lasciò Venezia a bordo del Bucintoro per giungere nella sua nuova residenza a Nicosia, dove si sposò e venne incoronata regina.
Meno di un anno dopo, in luglio, Giacomo moriva improvvisamente, lasciando Caterina in attesa del loro figlio, Giacomo III che sarebbe nato il mese successivo.
Nel frattempo la regina era stata esclusa dal trono che venne affidato ad un collegio di “commissari”. Fu molto difficile per Caterina riuscire a veder riconosciuto il suo titolo di Regina di Cipro, ma lei resistette e restò fino a quando la flotta veneziana raggiunse l’isola e ristabilì l’ordine.
Dal 28 marzo 1474, la Repubblica di Venezia affiancò a Caterina un provveditore e due consiglieri, allontanando dall’isola alcuni uomini di fiducia della donna
Caterina tuttavia era una donna sola, e la morte prematura del piccolo Giacomo III non fece che aumentare la sua solitudine, tanto che cadde in depressione. Fu così raggiunta dal padre che la aiutò a superare la sua malattia e a migliorare i suoi rapporti con Venezia, ottenendo con il tempo più libertà.
Ci furono due congiure da parte di nobili catalani che tentarono di rovesciare il regno di Caterina, represse dalla Repubblica di Venezia.
Tuttavia, dopo il secondo tentativo, la Serenissima cominciò a fare pressioni perché Caterina tornasse in patria e cedesse il regno a Venezia, in cambio di prerogative reali.
Caterina non accettò, ma dovette infine cedere in seguito all’intercessione del fratello Giorgio Cornaro: il 26 febbraio 1489, vestita di nero, dovette così a malincuore lasciare per sempre l’isola e rientrare in patria, donando l’isola a Venezia.
Il 6 giugno 1489, seduta sul Bucintoro accanto al doge Agostino Barbarigo, Caterina fa il suo ingresso trionfale a Venezia, che accolse la sua “figlia” con grandissimo affetto: fu nominata domina Aceli (signora di Asolo), conservando il titolo e il rango di regina.
Il corteo storico della Regata vuole ricordare proprio questo episodio: l’abbraccio della città a una donna forte e sfortunata, che ha sempre conservato la sua integrità e la sua dignità in modo esemplare.
Durante il regno di Caterina, la corte di Asolo divenne famosa per accogliere artisti e letterati famosi. Tuttavia la sua vita nel castello di Asolo non fu meno tormentata: nel 1509 dovette scappare per ben due volte di fronte all’avanzata delle truppe asburgiche, rifugiandosi a Venezia, la sua città, dove morì nel 1510.
Si dice che la folla che voleva partecipare al funerale fosse talmente numerosa che si dovette costruire un ponte di barche da Rialto a Santa Sofia per permettere un migliore deflusso.
Caterina tuttora riposa nella chiesa di San Salavador, a due passi dal Ponte di Rialto.
La festa del Redentore di Venezia
La festa del Redentore è una festa tradizionale di Venezia che si celebra la terza domenica di luglio ed è sicuramente una delle feste più sentite dai veneziani.
Il sabato che precede la terza domenica di luglio viene aperto un lungo ponte votivo di barche sul Canale della Giudecca che collega l’isola con le Zattere, consentendo così il raggiungimento pedonale della chiesa del Redentore.
La festa del Redentore è l’evento che ricorda la costruzione della Chiesa del Redentore per ordine del Senato veneziano nel 1576 come ex voto per la liberazione della città dalla peste del 1575. La terribile pestilenza provocò la morte di oltre 50.000 persone in soli due anni.
Alla fine della pestilenza, nel luglio del 1577, si decise di festeggiare con decorrenza annuale la liberazione, con allestimento di un ponte votivo.
Questa celebrazione è diventata col tempo una tradizione molto sentita dai veneziani ed è ancora viva -e anzi, gode di ottima salute- dopo quasi cinque secoli.
La festa è famosa (viene chiamata anche “la notte famosissima”) soprattutto per il meraviglioso spettacolo di fuochi d’artificio (“i foghi”) che si tiene nella notte tra il sabato e la domenica sul bacino di San Marco, che per l’occasione è chiuso alla normale navigazione ed accoglie le barche dei molti veneziani che si riversano in bacino per mangiare, bere, ballare e passare una serata in compagnia.